• 3 Dicembre 2024

Epistème News

Rivista di comunicazione scientifica e medicina integrata

I fiori di Edward Bach

Terapia alternativa o effetto placebo?

I Fiori di Bach sono 38 estratti ricavati da fiori silvestri del Galles o comunque provenienti da zone incontaminate. Basati su principi omeopatici, i rimedi floreali dovrebbero agire rilasciando nell’acqua la loro “energia”, secondo quanto ipotizza la teoria della “memoria dell’acqua” proposta da Jacques Benveniste, che però, fino ad ora, non ha ottenuto riscontri scientifici apprezzabili, non avendo superato la validazione in doppio cieco. Ugualmente la clinica non ha riscontrato alcun esito terapeutico dei fiori di Bach, che non sia riconducibile all’effetto placebo[

L’ideatore di questa terapia è stato Edward Bach un medico britannico – da cui ha preso il nome – che vedeva il malato nella sua interezza, non separando l’organismo dalla mente, ma avendo ben chiari i tre famosi dettami: scienza, perizia, coscienza. Secondo Bach l’unità corpo-mente rivestiva un ruolo determinante nel renderci sani o malati. Molteplici erano i suoi interessi nei confronti delle branche della scienza medica: per questo non abbandonò mai il metodo scientifico anche se il suo approccio al malato fu essenzialmente ispirato da un forte intento umanitario. Fu un vero ricercatore, scrisse vari saggi, osservò la natura traendone grandi lezioni. Partendo dai batteri presenti nell’intestino riuscì a sintetizzare un gruppo di sette antidoti da assumere oralmente, oggi conosciuti come i “sette nosodi di Bach”.

Per capire però il suo lavoro di ricerca e comprendere meglio i rimedi floreali da lui ideati, risulta sicuramente utile ripercorrere – seppur brevemente – l’interessante vita del dottor Bach.
Edward Bach nasce il 24 settembre 1886 a Moseley e fin da bambino manifesta il desiderio di diventare medico. Pur non avendo bisogno di denaro, prima di iscriversi a medicina, andò a lavorare nella fonderia di suo padre. Voleva partecipare alla vita dei più poveri, condividerne le sofferenze per comprendere l’ansia che attanagliava la loro esistenza. Timorosi per le malattie lo erano ancor più per la possibilità di perdere il lavoro nella difficile epoca dell’Inghilterra di fine Ottocento.
Durante la Prima guerra mondiale ebbe la responsabilità di ben 400 letti in ospedale. A questo compito dedicò tutto se stesso. Un giorno, perse i sensi in corsia. Aveva in corso una grave emorragia causata da un tumore alla milza, che gli venne asportato. La prognosi dei chirurghi che lo avevano operato fu terribile: gli rimanevano soltanto tre mesi di vita. Invece di abbattersi, Bach decise di reagire impiegando il tempo che gli rimaneva nel suo laboratorio per studiare ancora il modo di colmare il dolore fisico e mentale della nostra grande famiglia umana. Trascorsero i tre mesi, ma Edward Bach non morì. Il male era regredito e lui visse ancora, sino al 1936. Il 27 novembre di quell’anno, Edward Bach morì nel sonno nella sua casa di Mount Vernon.
Le esperienze maturate nel corso della sua vita, supportate dalla ferma convinzione di quanto fosse fondamentale per il terapeuta rivolgere la propria attenzione soprattutto alla persona, piuttosto che alla malattia o al sintomo, che lo hanno condotto sulla strade della ricerca e della scoperta di nuovi rimedi floreali, senza però rinnegare la medicina che aveva fino ad allora praticato con successo.
“I fiori sono elementi vivi e vibranti d’energia”, ricorda in un suo scritto la dottoressa Maria Vittoria Brizzi, grande estimatrice del lavoro di Edward Bach. “È ingeneroso pensare che i fiori di Bach non abbiano il potere di curare soltanto perché hanno componenti semplici (fuoco, terra, aria, acqua). Sovente le cose semplici sono grandiose”.
“Nella mia professione – prosegue la dottoressa Maria Vittoria Brizzi – ho constatato che, insieme ai farmaci più vari, anche la fitoterapia bachiana può migliorare la nostra salute. Non ci sarà nessuna fretta, perciò, nell’ascoltare il malato, per conoscerlo. Soltanto conoscendo a fondo i suoi eventuali traumi, sarà possibile accompagnarlo alla guarigione o a un’accettabile qualità della vita”.