Intorno al pensiero di Paola Di Cori sul corpo e la malattia
Autori: Marilena Fatigante, Clotilde Pontecorvo
“Viviamo con la sensazione di non apparire, di non contare, di non controllare, di non potere, di non…” Sono le parole che Paola Di Cori (2012), studiosa tra le pensatrici più lucide e generative degli studi di genere in Italia, applicava alla condizione del soggetto femminile, piagato storicamente da una percezione di impotenza e marginalità identitaria, di esclusione dalla scena pubblica e dalle sedi decisionali societarie. “Non controllare, non potere”… sono parole che potrebbero essere altrettanto applicabili alla condizione del soggetto paziente, etimo singolare perché traduce, nel participio presente (agente) la condizione di chi è invece passivo (patisce) rispetto ad una condizione e una pena. Pubblicato a cinque anni dalla sua morte, questo libro traduce le riflessioni che Paola Di Cori ha intessuto in una serie di seminari e di conversazioni con amiche/i e colleghe/i intorno alla condizione dell’essere paziente. E, come era lo spirito pluridisciplinare e irrequieto della storica e saggista, dalla “inesauribile curiosità intellettuale” (Pontecorvo, 2018), il volume offre una visione ampia, variata e mobile sui temi del corpo, della malattia, della cura e della comunicazione terapeutica con il malato. In un’epoca che ci vede uscire a fatica da una lunga percezione di inabilità e soggezione e che ci ha (forse) aperti alla coscienza di essere soggetti di medesime, universali condizioni di vita e morte, guardare alla malattia e alla sofferenza come esercizio di pazienza può fornire una chiave originale per partecipare al senso e al fluire, ordinario e casuale, delle cose della vita.
- Arte e pratica della pazienza“Viviamo con la sensazione di non apparire, di non contare, di non controllare, di non potere, di non…”. Sono le parole che Paola Di Cori, studiosa tra le pensatrici più lucide e generative degli studi di genere in Italia, applicava alla condizione del soggetto femminile, piagato storicamente da una percezione di impotenza e marginalità identitaria, di esclusione dalla scena pubblica e dalle sedi decisionali societarie.
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